Babini, Matteo Antonio Luigi

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Didascalie

Matteo Babini, Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio, Collezione di ritratti, cartone 4, fasc. 1, c. 11

Data di nascita
19 febbraio 1754
Data di morte
22 settembre 1816
Paese
Epoca
Categoria
Qualifica
Biografia

Matteo Antonio Luigi Babini (o Babbini), nacque a Bologna il 19 febbraio 1754, da Filippo e Catterina Conti. Il padre, parrucchiere, desiderava che il figlio diventasse un medico e lo indirizzò agli studi letterari e scientifici, consentendogli di coltivare la musica solo per diletto. Il giovane Matteo, tuttavia, pur dedicandosi alle materie impostegli, curò di nascosto anche lo studio del canto. Rimasto orfano assai giovane di entrambi i genitori, fu adottato dalla zia materna, Rosa Conti, danzatrice e moglie del tenore Arcangelo Cortoni da Cortona. Dopo aver ricevuto i primi insegnamenti di tecnica canora da Lorenzo Gibelli di Bologna, Babini divenne allievo proprio di suo zio Cortoni, la cui guida fu decisiva per la formazione artistica del giovane.

Pietro Brighenti, che aveva conosciuto personalmente Babini e nel 1820, a quattro anni dalla morte dell’artista, scrisse in sua memoria un Elogio che lesse all’Accademia Filarmonica di Bologna, riferiva che lo studio con Cortoni fu durissimo per il giovane: secondo l’estensore, in parte per la severità del maestro, in parte per via del fatto che Babini non aveva una disposizione naturale per il canto. Il giovane dovette «ridurre flessibile e dolce una voce aspra e chiusa dentro la gola; ed era ugualmente di mestieri il riformare la sua pronuncia ch’era come di balbo e scilinguato» (p. 260). «Molto studio gli toccò di sostenere, e molte lagrime ebbe a versare» Babini per riuscire nell’impresa. Ma, sempre a detta di Brighenti, la costanza e gli insegnamenti di Cortoni gli consentirono di formarsi come «abile cantante e aperto declamatore, con esattezza tale di pronuncia che si osservava poscia molto marcata anche nel suo discorso familiare».

A diciassette anni Babini debuttò nella stagione di Carnevale 1771 al teatro di corte di Modena, interpretando il ruolo di Mitrane nel Demetrio di Metastasio-Paisiello. Il compositore, che presenziava all’allestimento, guadagnò dell’artista, giovane ed emozionato, un'impressione decisamente negativa. A distanza di un paio d’anni da quell’episodio, nella stagione di Carnevale 1773, Babini si trovò ad interpretare il ruolo di Anassandro nella Merope di Zeno-Insanguine allestita al Teatro San Benedetto di Venezia. Incaricato di sostituire temporaneamente il primo tenore (Giovanni Vallesi), Matteo riportò in quell’occasione un tale successo da dover cantare, a richiesta del pubblico, la parte del protagonista per tutte le recite seguenti. Inoltre, fu subito scritturato dall'ambasciatore russo di stanza a Venezia per esibirsi alla corte di Caterina II a San Pietroburgo. Passarono, però, circa quattro anni prima che Babini arrivasse in quella città, essendosi egli infatti fermato dapprima a Vienna, dove riscosse un successo clamoroso, poi fino al 1777 a Berlino, alla corte di Federico il Grande, il quale, dopo che Babini ebbe lasciato la Prussia, continuò ad invitarlo presso di sé, promettendogli anche tutti gli stipendi arretrati.

Giunto a Pietroburgo, preceduto dalla fama dei suoi grandi successi, Babini divenne «virtuoso di camera di Sua Maestà l'Imperatrice di tutte le Russie», carica che mantenne fino all'inizio del 1781, interpretando parti importanti di numerose opere di Paisiello, pure di stanza a Pietroburgo in quegli anni: Amasi nella Nitteti (1777), Licomede nell'Achille in Sciro (1778), Valerio ne Lo sposo burlato e Fenicio nel Demetrio (1779), Alcide nell'Alcide al bivio e Gelino ne La finta amante (1780). Lasciata la Russia e dopo aver tenuto un concerto a Varsavia nel marzo 1781, con Francesco Porri, suo collega alla corte russa, tornò in Italia nell'autunno di quell’anno e cantò a Perugia il ruolo di Artabano nell'Artaserse del Metastasio-Bertoni. Nel carnevale 1782 fu a Venezia, al teatro San Benedetto, nella prima esecuzione della Zemira di Sertor-Anfossi nel ruolo di Sarabes e il 27 dicembre 1783 a Roma, al teatro delle Dame, nell'Olimpiade di Metastasio-Sarti come Licida. A Roma partecipò anche alle feste musicali date il 26 dicembre 1783 e il 9 gennaio 1784 dal cardinale-ministro François-Joachim de Pierre de Bernis nella Galleria di palazzo Farnese. Nell'autunno 1784 tornò a Venezia e nel carnevale 1785, al teatro San Benedetto, fu il protagonista nella prima esecuzione dell'Alessandro nelle Indie di Metastasio-Bianchi. Recatosi nello stesso anno in tournée a Vienna, a Madrid e a Lisbona, trascorse la stagione 1786-87 a Londra, dove cantò insieme al soprano Gertrud Elisabeth Mara e, sempre nel 1787, andò a Parigi. Qui, in seguito al successo ottenuto nel 1786 dal tenore Giacomo Davide, Babini trovò l'ambiente parigino già favorevolmente predisposto verso i virtuosi italiani e fu applaudito senza riserve in uno dei «Concerts spirituels». Il soggiorno parigino sembra essere stato di cruciale importanza nella carriera dell’artista: Babini divenne così ben accetto a corte da duettare con Maria Antonietta in persona. Inoltre, sempre agli anni spesi nella capitale francese, potrebbero risalire le Six Romances avec accompagnement de Piano Forte, stampate a Parigi dalle sorelle Erard: sei brevi composizioni composte da Babini e dedicate a una non meglio precisata Madame Debelle. Al netto del favore di cui godeva presso la corte di Francia, Babini divenne interprete proprio durante gli anni Ottanta del fermento ideologico che attraversava l’Europa, tra spinte progressiste e strette reazionarie: «di cose politiche passionatissimo», secondo Brighenti, Babini alternò ai soggiorni parigini quelli italiani, durante i quali egli lavorò soprattutto nel territorio dell’allora Repubblica di Venezia, nelle città di Venezia, Vicenza, Padova e Trieste in particolare. In questi luoghi egli poté certamente conoscere di persona alcuni librettisti e compositori che negli anni immediatamente precedenti e soprattutto in quelli successivi al 1789 si sarebbero più o meno apertamente schierati a favore della causa rivoluzionaria e le cui opere erano incentrate su figure conflittuali di antichi sovrani: il Pirro di De Gamerra-Paisiello o La morte di Cesare di Sertor-Bianchi, entrambi tra i titoli rappresentati al teatro San Samuele di Venezia nella stagione di Carnevale 1788, e in cui Babini vestì i panni dei protagonisti (rispettivamente Pirro e Bruto).

Il cantante si trovò nuovamente al Teatro San Samuele, ingaggiato come primo uomo anche nella stagione di Carnevale 1790. In quel frangente, egli dovette incontrare, forse per la prima volta, il compositore Sebastiano Nasolini, con il quale avrebbe lavorato intensamente, insieme al librettista Antonio Simeone Sografi, alla fine degli anni Novanta e nella cui Andromaca, su testo di Antonio Salvi, egli interpretò al San Samuele il ruolo di Pirro. Nel medesimo teatro e nella medesima stagione, Babini si rese autore insieme a Sografi e al compositore dilettante Giovan Battista Cimador, di Pimmalione, una «scena drammatica» ispirata al Pygmalion di Jean Jacques Rousseau e Horace Coignet (Lione, 1770), che vide la partecipazione della danzatrice Carolina Pitrot, moglie del coreografo Gasparo Angiolini, nei panni di Galatea. Nonostante il profilo musicale semplice e talvolta impreciso, l’opera fu nondimeno una delle più influenti dell’epoca per la concezione drammatica ad essa sottesa, i cui tratti più appariscenti consistono nel favore accordato alla declamazione in luogo del canto fiorito e nell’allontanamento dai numeri chiusi, in favore di un’intonazione del testo poetico che trovava nel duttile recitativo accompagnato la propria forma d’elezione. Il Pimmalione divenne in assoluto la composizione più rappresentativa di Babini, che se ne rese interprete con successo notevolissimo anche al teatro Feydeau di Parigi nel 1792, oltre che nelle innumerevoli “beneficiate” (cioè concerti a beneficio del cantante interprete di essi, tra una recita e l’altra in una stagione teatrale) che tenne fino alla fine della sua carriera. 

Tra il 1791 e il 1793, Babini cantò, tra gli altri, al Teatro San Pietro di Trieste (Carnevale 1791), dove tornò a interpretare Bruto nella Morte di Cesare, e a Berlino (1792), città presso cui era stato richiamato da Federico Guglielmo di Prussia e dove si trattenne per qualche mese, interpretando i ruoli protagonistici maschili nelle opere Vasco De Gama ed Enea nel Lazio di Filistri-Righini. Alla stagione di Carnevale 1794 risale la scrittura presso il teatro La Fenice di Venezia, dove fu Alessandro, nell’Apelle di Sografi-Zingarelli, Virginio nella Virginia di Pepoli-Alessandri, Eraclide nei Giuochi d’Agrigento di Pepoli-Paisiello – l’opera che aveva inaugurato il principale teatro veneziano nel 1792 – e Alceo nella Saffo di Sografi-Mayr. Al Carnevale 1795 risale invece l’unico ingaggio finora noto presso un teatro napoletano, quello reale del Fondo di Separazione, presso cui il cantante incontrò di nuovo Domenico Cimarosa, con il quale aveva lavorato nel 1784 in occasione dell’allestimento dell’Olimpiade per l’inaugurazione del Teatro Eretenio di Vicenza, in seno alla quale aveva interpretato il ruolo di Clistene. Per Babini (e forse insieme a Babini), Cimarosa, all’epoca uno degli operisti più famosi d’Europa, creò il ruolo di Ulisse nella Penelope, un dramma per musica di Giuseppe Maria Diodati. Estrapolato dal contesto, uno dei movimenti della Gran scena dedicata al personaggio nel secondo atto dell’opera (Largo, «Smarrita quest’alma») divenne uno dei pezzi più iconici dell’interprete, che a più riprese lo interpolò ad altri numeri in diversi titoli che ebbe modo di cantare dopo quella data – La morte di Cesare, in primis.

Aldilà della trasferta napoletana, la collaborazione con Cimarosa avrebbe raggiunto il suo apice poco tempo dopo, nella stagione di Carnevale 1796, quando Babini si rese interprete del ruolo di Marco Orazio nel memorabile allestimento della tragedia per musica di Antonio Simeone Sografi Gli Orazi e i Curiazi presso il Teatro la Fenice di Venezia, in cui il tenore ebbe modo di cantare a fianco di Giuseppina Grassini (Orazia) e di Girolamo Crescentini (Curiazio). In quell’occasione, Babini, probabilmente influenzato dalle contemporanee interpretazioni orientate in senso storicistico che François Joseph Talma realizzava in quegli anni presso il Théâtre de la Republique a Parigi in collaborazione con il pittore Jean Louis David, decise di abbigliarsi secondo il costume romano coevo all’epoca della tragedia, dunque mostrandosi sul palcoscenico a gambe scoperte: a detta di Brighenti, la scelta, che si opponeva a quella dei molti cantanti che si presentavano in scena con abiti propri, spesso riccamente decorati e comunque non conformi al costume che l’epoca del dramma avrebbe richiesto, fu talmente apprezzata da influenzare i successivi allestimenti operistici, veneziani e non.  

Nel 1796, in concomitanza con l’apertura della campagna d’Italia capeggiata dal generale Bonaparte, Babini cantò al teatro Sant’Agostino di Genova (La morte di Cesare) e al teatro Eretenio di Vicenza, dove diede vita al ruolo di Mitridate nella Morte di Mitridate di Sografi-Nasolini, un altro dei titoli che avrebbero costituito il suo repertorio d’elezione fino alla fine della sua carriera. Interprete di questa e di altre opere, tra cui l’immancabile Morte di Cesare, Babini venne scritturato anche alla Fenice, per le stagioni di Carnevale, Primavera ed Estate 1797.

A giudicare dai titoli e dai luoghi in cui cantò negli ultimi anni del Settecento, quelli che videro intensificarsi le guerre d’Italia, Babini sembra essersi schierato sempre più apertamente a favore della causa rivoluzionaria: nel 1798 lo si trova interprete di varie produzioni di segno rivoluzionario-repubblicano, avvicendatesi in alcune città dell’attuale Emilia Romagna (Bologna, Ferrara, Reggio Emilia), un territorio particolarmente caldo sul fronte bellico e, alla fine dello stesso anno, di nuovo a Parigi, interprete del Pimmalione.

Nel suo Elogio, Brighenti afferma che durante il periodo delle guerre d’Italia, Babini «lasciò ai ludi notturni le pugne simulate; e alla milizia condotto, provvide il fianco e la mano delle armi guerriere»: il cantante ebbe cioè parte attiva in qualità di combattente nella polveriera di battaglie svoltesi in Italia, presumibilmente al Nord, durante o in seguito alla campagna napoleonica. Passando in rassegna i libretti che lo vedono coinvolto in produzioni operistiche, l'unico periodo di assenza dalle scene risulta essere quello compreso tra il 1799 e il 1800, ossia il biennio più intenso delle guerre d'Italia, in cui la recrudescenza della coalizione antifrancese (Russia, Austria, Regno di Napoli) minava l'esistenza della Repubblica Cisalpina, proclamata nel 1797: appena l'anno successivo, l'esercito austro-russo invadeva i territori di Lombardia, Piemonte e Veneto e occupava le città di Milano e Torino. È possibile quindi che Babini abbia preso parte ai combattimenti che culminarono nella battaglia di Marengo e nella successiva proclamazione della Repubblica italiana seguita alla stipula della pace di Lunéville (1801).

Abbandonati i campi di battaglia, il cantante riprese la propria carriera artistica: nel 1802, alla Fenice di Venezia, fu Edipo in Edipo a Colone di Sografi-Trento e Loterigo nella cantata La notte dell’amicizia di Foppa-Zingarelli. Per la stagione di Carnevale 1803 si spostò al Teatro alla Scala di Milano, dove interpretò Adrasto nei Misteri eleusini di Bernardoni-Mayr e Manlio nei Manli di Sografi-Niccolini. Nel 1803, al Teatro Nuovo di Padova, eseguì la parte di Mercurio nella festa teatrale di Cesarotti-Bertoni Adria consolata, opera che riprese qualche mese più tardi alla Fenice di Venezia, dove vestì pure i panni di Scipione l’africano nella Caduta della nuova Cartagine di Sografi-Farinelli. Nel 1804 fu Boleslao nella Lodoiska di Gonella-Mayr al Teatro delle Arti di Torino e nel 1805 fu primo uomo della stagione di Carnevale del Teatro della Pergola di Firenze, dove chiuse la sua carriera tornando ad interpretare alcuni dei suoi cavalli di battaglia: Mitridate nella Morte di Mitridate di Sografi-Nasolini, Ulisse nella Penelope di Cimarosa e, ancora, il ‘suo’ Pimmalione.

Dopo essersi accommiatato dai palcoscenici lirici, Babini tornò a Bologna sua città natale, dove rimase fino alla morte, occorsa il 22 settembre 1816, conducendo una vita molto modesta. Marina Calore informa che egli venne eletto, per chiara fama, direttore artistico del costituendo Teatro del Corso (1804-1805), insieme a Luigi Albergati e a Massimiliano Gini. Secondo Brighenti, nei suoi ultimi anni, Babini fu «interamente occupato o dagli studi, ai quali davano alimento i libri migliori, da lui sagacemente raccolti in peregrine [cioè rare] edizioni; o della musicale istruzione di alcuni discepoli» (p. 271). Tra questi, anche il giovanissimo Gioachino Rossini, all’incirca quattordicenne, allora residente a Bologna, che ricordò quel suo primo maestro in una famosa conversazione avuta in tarda età con Ferdinand Hiller.

Matteo Babini fu un personaggio unico nel panorama operistico europeo tra Sette e Ottocento. Sebbene egli non fosse dotato di una voce potente e naturalmente morbida, la frequentazione delle belle lettere, l’interesse nei confronti delle innovazioni spettacolari d’oltralpe riguardanti tanto l’opera quanto il teatro di parola e non ultima la passione per la politica costituirono per lui un bagaglio culturale straordinariamente ricco, specie se paragonato a quello di altri artisti e, più in generale, di altri musicisti coevi, in virtù del quale egli poté cimentarsi in interpretazioni raffinatissime e profondamente sentite, al punto da essere in più occasioni definito un cantante ‘filosofo’, da alcuni commentatori che avevano assistito a sue performances.

Bibliografia

Pietro Brighenti, Elogio di Matteo Babini detto al Liceo filarmonico di Bologna nella solenne distribuzione dei premi musicali il 9 luglio 1819, in «Opuscoli letterari», Tomo III, Bologna, Annesio Nobili, 1820, pp. 253-276

Marina Calore, Matteo Babini celebre tenore ed egregio cittadino (1754-1816), in «Strenna storica bolognese», XLII (1992), pp. 71-81

Anna Maria Monterosso Vacchelli, Babini, Matteo Antonio Luigi, ad vocem in DBI, vol. 4, 1962

Giovanni Morelli, «E voi pupille tenere». Uno sguardo furtivo, errante, agli Orazi di Domenico Cimarosa e altri, saggio incluso nel programma di sala dell'opera di Domenico Cimarosa, Gli Orazi e i Curiazi, Roma, Teatro dell'opera, 1989, pp. 18-39

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EDC

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08/04/2022

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