Cesti, Antonio

Data di nascita
5 agosto 1623
Data di morte
14 ottobre 1669
Paese
Epoca
Stile
Categoria
Biografia

Antonio Cesti nacque ad Arezzo, dove fu battezzato con il nome di Pietro il 5 agosto 1623. Servì come cantore nelle chiese della sua città natale fino al 1637, anno in cui diventò frate francescano assumendo il nome di Antono; rimase presso il convento di Arezzo fino al 1643, quando fu nominato organista della cattedrale di Volterra. Qui nel 1645 diventò magister musices presso il seminario e fino al 1649 fu attivo anche come maestro di cappella della cattedrale.

Grazie al mecenatismo dei Medici, durante il soggiorno a Volterra gli interessi di Cesti si volsero verso la musica secolare: oltre ad appoggiarlo nella sua carriera operistica, che allora intraprese come cantante, i Medici gli permisero di entrare in contatto con l’ambiente letterario fiorentino, in particolare con il circolo che in seguito sarebbe stato conosciuto come Accademia dei Percossi. In questo contesto Cesti ebbe modo di conoscere, tra gli altri, i librettisti Giacinto Andrea Cicognini e Giovanni Filippo Apolloni, nonché il pittore Salvator Rosa, di cui il compositore diventò un intimo amico.

Progressivamente gli interessi di Cesti si allontanarono dall’ambito religioso, per concentrarsi definitivamente sulla carriera teatrale. Nel 1650 egli fu probabilmente uno degli interpreti della ripresa fiorentina del Giasone di Francesco Cavalli e partecipò come cantante e, forse, organizzatore all’allestimento di tre opere a Lucca, tra cui lo stesso Giasone. Malgrado gli scandali destati dall’attività teatrale, non consona ai voti religiosi, tali spettacoli funsero da trampolino di lancio per la carriera di Cesti: piacque in particolare al poeta Francesco Sbarra, presente tra il pubblico, il quale gli propose di mettere in musica un suo libretto da proporre alla successiva stagione di carnevale a Venezia. Con Alessandro vincitor di se stesso, rappresentato al Teatro di SS. Giovanni e Paolo nel gennaio 1651, ebbe così luogo il debutto di Cesti come compositore operistico, al quale seguì un nuovo ingaggio presso il medesimo teatro per la stagione successiva.

Nel 1652 Cesti ottenne il prestigioso incarico di direttore dei musicisti da camera della corte di Innsbruck, un ruolo creato appositamente per lui dall’Arciduca Ferdinand Karl e da sua moglie Anna de’ Medici, entrambi appassionati del repertorio italiano vocale. I compiti dei musicisti da camera, formati da eccellenti interpreti italiani, prevedevano l’esecuzione di opere, arie e cantate per l’intrattenimento giornaliero e festivo della corte. Dopo un breve periodo a Venezia, tra la fine del 1654 e gli inizi del 1655, dove Ferdinand Karl aveva inviato il compositore con l’incarico di ingaggiare nuovo personale per il teatro di Innsbruck, Cesti scrisse per gli arciduchi alcune opere che riscossero ampio successo, ossia L’Argia (1655), L’Orontea (1656) e La Dori (1657). Queste ultime due, in particolare, furono tra i lavori più popolari del secondo Seicento, continuando ad essere messe in scena fino a tutti gli anni ’80.

Nel 1659 Cesti si recò a Roma per chiedere lo scioglimento dei voti religiosi, in seguito al quale rimase un prete secolare.  Qui guadagnò l’appoggio di mecenati come il papa Alessandro VII, che lo ingaggiò come cantante nella cappella papale, il Cardinale Flavio Chigi, per il quale forse scrisse alcune cantate, nonché il Contestabile Lorenzo Onofrio Colonna e sua moglie Maria Mancini, che ospitarono una rappresentazione privata dell’Orontea. All’apice della fama, Cesti lasciò Roma per spostarsi a Firenze, dove interpretò il ruolo dell’eroe eponimo nell’Ercole amante di Jacopo Melani, allestito in occasione delle nozze del futuro granduca Cosimo III con Margherita Luisa d’Orléans. In questo contesto incontrò l’Arciduca Ferdinand Karl, giunto a Firenze per prendere parte ai festeggiamenti, e lo seguì a Innsbruck nonostante l’impegno preso con il papa, rischiando così la scomunica; fu solo grazie agli interventi di Ferdinand Karl, di Cosimo III e dell’Imperatore Leopoldo I che tra il 1661 e il 1662 Cesti fu dispensato dai doveri nei confronti della cappella papale.

Con il ritorno a Innsbruck Cesti poté godere del generoso favore di Ferdinand Karl, il quale gli donò un palazzo e delle terre, tuttavia l’Arciduca morì alla fine del 1662 e il suo successore, il fratello Sigismund Franz, aveva gusti più frugali e meno bendisposti nei confronti della musica. Cesti rivolse dunque la sua attenzione a Venezia, dove nel 1663 fece riprendere La Dori, dando l’avvio a una serie di rappresentazioni di sue opere. Nel marzo del 1665 l’impresario Marco Faustini, fratello di Giovanni, lo incaricò di mettere in musica il libretto Il Tito di Nicolò Beregan, lavoro che giunse alle scene agli inizi dell’anno successivo; costretti a collaborare a distanza, tra Cesti e Faustini ebbe luogo un fitto carteggio che si è in gran parte conservato, permettendo agli studiosi di ricostruire il sistema produttivo del teatro d’opera impresariale nella Venezia di metà Seicento.

Morto anche Sigismund Franz, nel 1665, la corte di Innsbruck, compresi i musicisti, finì sotto il controllo dell’imperatore, per cui Cesti  passò a Vienna con il prestigioso incarico di maestro di cappella e direttore delle musiche teatrali, uno dei posti più ambiti in tutta Europa. Qui fu attivo sia come interprete che come compositore, venendo molto apprezzato dall'Imperatore Leopoldo I, lui stesso un valido musicista dilettante. Per le nozze di questi con Margherita di Spagna Cesti compose Il pomo d’oro (1668), forse l’opera più spettacolare del secolo, le cui scene furono immortalate in incisioni a stampa che accompagnarono diverse edizioni del libretto ed ebbero ampia circolazione in tutta Europa. Benché costituissero un’indubbia fonte di prestigio, le mansioni presso la corte imperiale erano anche causa di notevole pressione psicologica, e questo fu probabilmente il motivo per cui nel 1669 Cesti lasciò Vienna per ritornare in Italia, prendendo servizio come maestro di cappella presso la corte di Firenze. Qui il compositore morì il 14 ottobre dello stesso anno, all’apice della sua carriera, mentre stava lavorando a una nuova opera – forse Il Genserico, su libretto di Beregan – per la stagione successiva al Teatro di SS. Giovanni e Paolo di Venezia.

Bibliografia
  • Theophil Antonicek, Antonio Cesti alla corte di Vienna. «Nuova Rivista Musicale Italiana», 4, 2 (marzo-aprile 1970), pp. 307-319.
  • John Walter Hill, Le relazioni di Antonio Cesti con la corte e i teatri di Firenze. «Rivista Italiana di Musicologia», 11, 1 (1976), pp. 27-47.
  • La figura e l'opera di Antonio Cesti nel Seicento europeo. A cura di Mariateresa Dellaborra, Firenze, Olschki, 2002.
  • Valeria De Lucca, Dressed to Impress: The Costumes for Antonio Cesti’s Orontea in Rome (1661). «Early Music», 41, 3 (agosto 2013), pp. 461-475.
  • Nicola Michelassi, Salomé Vuelta García, Antonio Cesti e la partitura delle Nozze in sogno (Firenze 1665). «Il Saggiatore musicale», 22, 2 (2015), pp. 203-214.

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GVI

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Modificato
02/02/2019

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