Viganò, Salvatore

Immagini (Secondarie)
Didascalie

1. Johann Gottfried Schadow, Der Tänzer Vigano (Il ballerino Viganò), 1797.

2.  Appartamento nella casa del console Murena: questa scena venne eseguita pel ballo tragico, La Vestale, composto, e posto sulle scene dell'I. R. Teatro alla Scala dal Sig. Salvatore Viganò, nella primavera dell'anno 1818. Disegno di Alessandro Sanquirico, incisione di Gaetano Durelli realizzata nel 1832. Fonte: Bibliothèque nationale de France, département Bibliothèque-musée de l'opéra, ESTAMPES SCENES VESTALE (4).

Data di nascita
25 marzo 1769
Data di morte
10 agosto 1821
Paese
Epoca
Categoria
Biografia

Salvatore Viganò nacque a Napoli, figlio di Onorato Viganò e Maria Ester Boccherini, sorella del famoso violoncellista e compositore Luigi Boccherini.

Iniziò la sua carriera come interprete di ruoli femminili nelle coreografie del padre che all’epoca lavorava a Roma, città nella quale le donne erano bandite dalle scene. Fu il padre a instradarlo anche verso la composizione musicale, ambito in cui Salvatore debuttò con la farsetta La creduta vedova o sia La sposa costante (Roma, 1786), realizzando anche le musiche per i suoi balli e per quelli del padre. La sua bravura venne notata anche dal celebre violinista Niccolò Paganini il quale, dopo aver assistito alla prima scaligera nel 1812 del Noce di Benevento, rimase così colpito dalla musica della Danza delle streghe da sceglierlo come tema per le variazioni della sua op. 8, Le streghe, che suonò per la prima volta alla Scala l’anno seguente.

A diciotto anni Salvatore passò all’interpretazione dei ruoli maschili di genere serio. Dopo diverse esperienze in Italia, partì insieme allo zio Giovanni, anch’egli ballerino, per Madrid dove conobbe e sposò, nel 1789, la danzatrice Maria Medina. A Madrid ebbe modo di conoscere Jean Dauberval, pupillo di Jean-Georges Noverre, che seguì a Bordeaux (1788 – inizio 1791) e a Londra (febbraio – luglio 1791). Qui nacque la figlia di Medina e Viganò, Maria Giuseppa Elena.

Viganò rientrò a Venezia, nell’autunno 1791, dove debuttò come coreografo al teatro S. Samuele con Raul signore di Crechì ossia La tirannide repressa

Dopo un viaggio nel centro Europa, Viganò si trasferì a Vienna nella primavera del 1793. Alla scadenza del contratto, l’ostilità dell’Imperatrice Maria Teresa di Borbone finì con l’allontanare i Viganò da Vienna, così la celebre coppia intraprese una tournée per l’Europa. Tornarono a Venezia, poi, nel 1798 a Ferrara si esibirono per l’ultima volta insieme, dopodiché si separarono.

Viganò tornò nella capitale asburgica dall’autunno 1799 al carnevale 1804. Nel 1805, il primo anno dell’impero napoleonico, con l’arrivo allo Hoftheater del coreografo francese Sebastien Gallet, Viganò tornò in Italia.

I negoziati per un ingaggio al Teatro di San Carlo di Napoli, nel carnevale del 1806, non andarono in porto e ci furono problemi anche con altre scritture, poiché, da un lato, gli impresari teatrali lo cercavano per la sua fama, ma, dall’altro canto, le pretese di Viganò per la realizzazione di spettacoli dall’esorbitante sontuosità facevano desistere i direttori dei teatri.

Nel 1810, terminò la sua carriera di interprete.

Dal 1811 fino alla morte, avvenuta nel 1821, Viganò operò quasi esclusivamente alla Scala. A Milano, infatti, ebbe modo di collaborare con importanti artisti (dal 1817 con lo scenografo Alessandro Sanquirico, che curò le scene di Otello, Dedalo e La Vestale e di molti altri balli successivi) e personalità di rilievo, come Giulio Ferrario o Giovanni Gherardini che lo aiutarono nella resa filologica di usi e costumi per i suoi quadri scenici e nella stesura di alcuni dei programmi di ballo.

Ogni suo nuovo ballo scaligero, inoltre, contribuiva ad incrementare il dibattito estetico, in quanto veniva accompagnato da lettere o pamphlet che riportavano osservazioni di carattere letterario ed artistico in difesa o contro la rappresentazione.

La vivace situazione milanese, però, era un’eccezione. Non sempre i lavori di Viganò incontravano il favore del pubblico: i balli messi in scena all’Argentina, nel 1815, così come quelli dati al San Carlo di Napoli, l’anno dopo, non ottennero un buon riscontro.

L’attività coreografica di Viganò era stata ispirata da un ampio corpus di soggetti di eterogenee derivazioni e stili. I suoi lavori, quindi, spaziano dalla produzione drammatica italiana, alcuni balli erano, ad esempio, ispirati ai drammi di Carlo Gozzi (Il Noce di Benevento, ossia le sorelle magiche, La figlia dell’aria, Clotilde, duchessa di Salerno e Le tre melarance, ovvero Il principe Fortunio) e Vittorio Alfieri (Mirra ossia La vendetta di Venere), a quella straniera, Viganò infatti attinse all’opéra-comique Richard Coeur de Lion di Michel-Jean Sedaine e André Modeste Grétry per Riccardo Cuor di Leone, al Cid di Pierre Corneille per la ‘coreotragedia’ Cimene, ai drammi shakespeariani (Otello, Cajo Marzio Coriolano) e a quelli ispirati alla tragedia romantica, come Die Jungfrau von Orleans (La Pulzella d’Orleans) di Friedrich Schiller, da cui trasse il ballo Giovanna d’Arco.

Il genere in cui primeggiò e in cui riscosse i maggiori successi fu quello eroico di stile neoclassico. Un esempio in tal senso è il ballo Prometeo rappresentato nel 1813 per la Scala di Milano in una versione ampliata rispetto a quella realizzata a Vienna (1801) con la musica appositamente scritta da Ludwig van Beethoven.

Viganò raccolse in eredità due linee stilistiche: quella del padre, riscontrabile nella tendenza alla grandiosa   spettacolarità e all'uso delle azioni simultanee; e quella di Dauberval, tramite la quale Viganò apprese la lezione noverriana sulla sistemazione prospettica delle figure e la loro disposizione in scena in base all’applicazione delle nozioni estetiche di 'varietà' e 'contrasto'. Il risultato dell’unione di queste due linee, a cui va aggiunta l'esperienza ricevuta dall'ambito culturale viennese, fu un lavoro del tutto particolare di stile neoclassico, ma di contenuto romantico, che portò a significativi sviluppi nella resa coreografica. Viganò, infatti, contribuì a trasformare il corpo di ballo settecentesco in un ensemble drammatico vivo che dava risalto ai protagonisti dell'azione. Risolse, inoltre, con il "canto muto", secondo la definizione di Carlo Ritorni, la dicotomia tra gesto e danza, superando sia la formula noverriana della “pantomima camminata” sia la “pantomima misurata” concepita da Gasparo Angiolini.

Bibliografia

Claudia Celi, L’epoca del coreodramma (1800-1830), in a cura di Alberto Basso, Musica in Scena. Storia dello spettacolo musicale, V: L’arte della danza e del balletto, Torino, Utet, 1995, pp. 89-116.

Claudia Celi, Echi dal margine. Il montaggio coreodrammatico nella Giovanna D’Arco di Salvatore Vigano in Atti della giornata di studi sulla ricezione del pensiero e dell'opera di Schiller (L'Aquila 31/5/05), L'Aquila, Vecchiarelli, 2007, pp. 43-56.

Claudia Celi, La Vestale, ballo tragico de Salvatore Viganò. Un montage en fondu entre l'ancien et le romantique, in a cura di Mara Fazio, Pierre Frantz e Vincenzo De Santis, Les Arts du spectacle et la référence antique dans le théâtre européen (1760-1830), Paris, Classiques Garnier, 2018, pp. 363-373. 

Donatella Ferrari, I libretti comici di Salvatore Viganò, in «La Danza italiana», 7, 1989, pp. 79-97. 

Flavia Pappacena, Il Settecento e l'Ottocento, II vol., in Ornella Di Tondo, Flavia Pappacena e Alessandro Pontremoli, Storia della danza in Occidente, 3 voll., Roma, Gremese, 2015, pp. 121-132. Nuova ed. aggiornata: Ornella Di Tondo, Flavia Pappacena, Alessandro Pontremoli, Storia della danza e del balletto, Roma, Gremese, 2019, pp. 205-210.

Ezio Raimondi (a cura di), Il sogno del coreodramma. Salvatore Viganò, poeta muto, Bologna, Il mulino, 1984.

Carlo Ritorni, Commentarii della vita e delle opere coreodrammatiche di Salvatore Viganò e della coreografia e de’ corepei scritti da Carlo Ritorni reggiano, Tipografia Guglielmini e Redaelli, Milano 1838.

Id., Ammaestramenti alla composizione d’ogni poema e d’ogni opera appartenente alla musica compilati da Carlo Ritorni, Luigi Giacomo Pirola, Milano 1841.

José Sasportes, Patrizia Veroli (a cura di), Ritorno a Viganò, Roma, Aracne, 2017.

Rita Zambon, Il Settecento e il primo Ottocento,in José Sasportes (a cura di), Storia della danza italiana dalle origini ai giorni nostri, Torino, EDT, 2011, pp.135-142. 

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03/01/2020

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